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PHOTOS D'ALEXANDRIE

Cimetière des Libres-penseurs

Cimitero civile

Photo prise en octobre 2006

Photo prise en octobre 2006

IL CIMITERO CIVILE DI ALESSANDRIA

di Vera Pegna, vpegna@iol.it

 

«Qui giace Mario Cerassi. Morì imprecando al Papa re suo carnefice», 1858.

«Gaetano Proteo, ateo. Nello spirito di Lucrezio: Tantum religio potuit suadere malorum».

«Qui è sepolto Matteo Marchi. Fu libero pensatore coscienzioso e amor di patria lo animò a togliere le fanciulle italiane all’influenza dell’insegnamento clericale iniziando in Alessandria la fondazione della regia scuola femminile italiana sorta per opera sua nell’ottobre 1879. Morto il 4 giugno 1918».

«Cesare Brunoni di Erasmo, morto nel 1895. Vive sempre nella vita eterna della materia le cui leggi hanno soppresso dio».

«Qui giace Giuseppe Belli. Morì senza il concorso del bugiardo prete».

Queste ed altre epigrafi di contenuto analogo si potevano leggere, fino a pochi anni fa, su alcune lapidi del Cimitero civile di Alessandria d’Egitto.

La storia di questo cimitero ha inizio verso la metà del secolo scorso. A quell’epoca in Egitto - come in altri paesi musulmani - i cimiteri dipendevano dalle comunità religiose e il governo concedeva a ognuna di esse un terreno da destinare a luogo di sepoltura. Alessandria era allora una città cosmopolita; e nel quartiere dei cimiteri si potevano vedere, fianco a fianco, il cimitero musulmano, quello cattolico, quello ebraico, quello greco ortodosso, quello protestante, e altri ancora. Ma ogni volta che moriva una persona che non apparteneva a una comunità religiosa, o la cui comunità era troppo esigua per avere un proprio cimitero, si riproponeva il problema di trovare un luogo che accogliesse la sua tomba. Intorno al 1850 un comitato misto, composto di rappresentanti di varie nazionalità, chiese alle autorità la concessione di un piccolo terreno da adibire a cimitero per atei, con l’intesa che l’occasionale cinese o indiano che fosse morto in quella città vi sarebbe stato accolto. La trattativa fu lunga perché il concetto stesso di ateismo, perlomeno allora, era quasi inesistente nell’Islam. Ma l’accordo fu finalmente firmato e il cimitero fu chiamato «Cimitero civile». Per statuto era vietato ogni tipo di cerimonia o di simbolo religioso. All’entrata furono poste due lapidi, una in onore di Garibaldi e l’altra in onore di Mazzini, tutti e due atei. L’evento fece scandalo nella colonia italiana; tanto che un gruppo di clericali rubò, nottetempo, la lapide di Mazzini che fu poi ritrovata e rimessa al suo posto.

Il Cimitero civile conobbe vicende alterne. Per un periodo fu trascurato e andò praticamente in rovina fino a quando, dopo la prima guerra mondiale, un gruppo di liberi pensatori italiani decise di rimetterlo a posto, di rifare i viali, di assumere un guardiano. Allora le sue sorti si risollevarono e il numero di tombe aumentò. Poi, negli anni neri del fascismo appoggiato come sempre alla Chiesa e dalla Chiesa, i rappresentanti del fascio in Egitto proibirono agli italiani di farsi seppellire al Cimitero civile. Il numero di persone coerenti - vuoi perché atee vuoi come antifasciste - si potevano allora contare sulle dita di una mano.

Venne la seconda guerra mondiale, che con le sue tragedie portò con sé un nuovo spirito religioso; e quelli furono anni fiacchi per il Cimitero civile. Il colpo di grazia lo diede poi la partenza dall’Egitto di molti europei, in conseguenza della rivoluzione di Gamal Abd el Nasser. Il Cimitero civile chiuse praticamente le sue porte fino alla fine degli anni Settanta quando, non sapendo più dove seppellire i morti in una città in piena espansione, il sindaco di Alessandria decise di riaprire il piccolo cimitero e di eliminare gran parte delle vecchie tombe per fare posto a quelle della comunità copta. Oggi sulla destra del cancello si può vedere una lapide di marmo con la croce copta e la scritta in arabo, mentre sulla sinistra è rimasta la vecchia scritta in italiano: «Cimitero civile». Perché, almeno per noi europei, non se ne perda la memoria.

 

 

Cologny, avril  2007

 

 

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